+:+ Un ricordo di FOLCO QUILICI, regista, divulgatore, fotografo, viaggiatore e scrittore italiano +:+ A memory of FOLCO QUILICI, Italian director, popularizer, photographer, traveler and writer +:+
+:+:+:+ FOLCO
QUILICI +:+:+:+
“Il viaggio è il patrimonio
culturale di un uomo”.
“Ho viaggiato e ho fatto immersioni
per dimenticare il mio inconscio”.
“Non mi tirerà fuori la questione
dell’inconscio.
Tutta la vita ho viaggiato per
dimenticare il mio inconscio.
Certo, non è la stessa cosa
immergersi in una
vasca da bagno e in un mare
infestato dagli squali.
Se l’ho fatto è stato esclusivamente
per dare un’emozione
a chi quelle cose le ha sempre
sognate senza averle mai viste.
Parlo degli anni Cinquanta e Sessanta.
Oggi ci interessa meno il meraviglioso,
l’inedito, l’irraggiungibile.
Pretendiamo però di salvare il pianeta.
Comodamente seduti in poltrona!”.
“Oggi il leone o l’orso bianco
li devi vedere minacciati
dalla sparizione per fotografarli.
Tra un po’ neppure quello.
Abbiamo trasferito le nostre ansie,
le nostre paranoie
sul mondo animale.
Lo abbiamo antropologizzato”.
“Tutto cominciò con delle
foto subacquee
che piacquero
a Ulrico Hoepli.
Poi venne il primo film:
Sesto continente.
Era la prima volta
che la gente
vedeva i fondali marini.
Gli squali.
Impiegai un anno a girarlo.
Sul Mar Rosso.
Il film andò a Venezia.
Avevo 24 anni e mi sembrava
che la fortuna
avesse cominciato
a prendermi sul serio”.
“Il mio mare preferito è
sempre di più il Mediterraneo.
Nessun mare al mondo offre
la varietà di spunti di mare
e uomo che offre il Mediterraneo.
Nessun mare ha avuto
la fioritura di civiltà
che hanno lasciato il
segno in un mare
come il Mediterraneo.”
“Io non amo la pesca subacquea,
non l’ho mai praticata;
onestamente però ritengo
gli apneisti dei veri sportivi
e il loro danno ecologico è pari a zero.
Un bravo pescatore subacqueo
in tutta la sua vita
da apneista non fa il danno
che fa una rete
a strascico in un solo giorno.
I pescatori subacquei con le bombole,
hanno distrutto le coste italiane,
hanno fatto scomparire le cernie,
murene, saraghi.
Quando ho visto per la
prima volta nel 1952
i pescatori di perle yemeniti
nel Mar Rosso ho capito
che per fare film
sul mare bisognava
parlare dell’uomo.
Ci sono troppe persone
che si occupano di pesci.
A me interessa l’uomo ed
il suo rapporto con il mare.”
“Uomini che fino a ieri erano
padroni del loro destino,
in quella foresta
che era il loro mondo,
portano ora mucchi di rifiuti
che s’accumulano nelle profonde
buche scavate dai bulldozer;
non è nemmeno l’integrazione
del lavoro della miniera
o nell’interno degli impianti.
È un impiego che
(sembrerebbe volutamente)
lascia gli aborigeni ai margini
delle strade dei bianchi
e della loro civiltà.
Non più liberi cacciatori,
ma solo miserabili
raccoglitori di rifiuti altrui.
Per questo, forse,
l’aver incontrato
dopo questi gruppi
“integrati” di Gove,
i gruppi ancora liberi di Oenpelly
ha avuto per me un senso particolare.
È stato come avere la
diretta misura del fenomeno
che antropologi ed etnologi
chiamano acculturazione;
la misura di un assassinio
culturale collettivo,
in nome del progresso.
La morte di civiltà diverse,
siano esse quelle di centinaia
di milioni di uomini – in Africa,
nell’Asia del Sud,
in America meridionale
e centrale – sia quella di poche
migliaia di individui
come gli aborigeni
d’Australia.”
― Folco Quilici,
L’alba dell’uomo
(Antropologia,
genocidio-culturale,
multiculturalità,
progresso)
“Tutti i gruppi di
paleoculture
della terra,
anche i più sperduti
e dimenticati,
rivelano in ogni loro
manifestazione
un’eccezionale
ricchezza di sentimento
e una particolare
vivacità di affetti.
La vita di comunità
rende assai naturale
la manifestazione
più profonda
di questi e di
altri sentimenti.
Gli affetti familiari hanno
sfumature delicate e si potrebbe
dire che essi siano tanto più
esemplari quanto più il gruppo
appartenga a un tipo di civiltà arcaico.
Un tempo i selvaggi erano immaginati
nell’atto di esprimersi
a gesti con poche parole rudimentali;
le lingue delle popolazioni primitive
sono invece quando di più complesso
e pregnante serva a descrivere
le minime sfumature di ambienti,
circostanze, sentimenti.”
― Folco Quilici,
L’alba dell’uomo
(Antropologia, linguaggio)
“Il presidente del Senegal,
il poeta Leopold Sedar Senghor,
ci ha detto in un incontro:
“Presto, non perdete tempo.
Girate l’Africa nera,
in lungo e in largo per ascoltare
gli ultimi nostri cantastorie.
Ogni vecchio griot che muore
è una biblioteca che brucia”.
― Folco Quilici,
L’alba dell’uomo
(Antropologia,
leopold-sedar-senghor)
“Parole d’oltre un secolo fa,
“Non hanno aspetto d’uomini”.
Sempre, l’identico equivoco di chi vede
una popolazione primitiva
nella luce sbagliata di
un’umanità inferiore alla nostra,
quasi ferina;
quando invece si tratta
di gruppi umani diversi
solo perché proiettati in una
dimensione storica che non è la nostra.
Tanto noi siamo corsi incontro
al tempo in una vertiginosa sfida
per annullarlo e superarlo con le conquiste
di un progresso sopratutto meccanico,
tanto i primitivi hanno invece
rinunciato a questa gara,
scegliendo una realtà immobile,
uguale a se stessa giorno per giorno.
I primitivi: il mondo s’occupa di loro,
oggi, perché sono un’alternativa,
sono un’emblematica presenza accanto
a noi a indicarci altre strade cui l’uomo
poteva indirizzarsi iniziando
la sua corsa nel tempo.”
― Folco Quilici,
L’alba dell’uomo
(Antropologia)
“Si passano intere giornate
per filmare
due moscerini che
fanno sesso.
La voce fuoricampo grave
o insinuante racconta l’atto.
La presa di possesso.
L’orgasmo.
La morte in agguato.
Non sai mai se stai in un
film di Hitchkock
o alla rappresentazione
scollacciata del Bagaglino.
Mi dispiace.
Tutta la mia attività di
documentarista
– e ne ho fatte di cose
che non mi piacevano
– è sempre stata guidata
dal sogno di bambino:
scoprire, meravigliarsi,
fantasticare “.
“Mi mettevo nella condizione
del bambino.
Per capire gli altri.
Per dir loro: ecco,
guardate cosa c’è lontano
dalle vostre case.
Li invitavo a sognare.
Ma per sognare devi
educare la curiosità.
Una volta a Roma conobbi un
cacciatore di savana.
Vidi che sparava su delle
fotografie della fidanzata.
Poi si calmò.
A quel tempo volevo girare
un film sui
popoli primitivi dell’Africa.
E la conversazione finì su questo.
Lui mi disse che aveva conosciuto
una popolazione di pigmei
che cacciava il bufalo e
l’elefante con l’arco e le frecce.
E poi mi disse: c’è una donna
che vive in Somalia.
Una bianca che può aiutarti
nelle tue ricerche.
Quella donna divenne
mia moglie”.
+:+ INTERVISTA
A FOLCO
QUILICI +:+
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